RE GUGLIELMO II



GUGLIELMO II 
RE 
SAGGIO E BUONO
a cura di Salvatore Autovino

Figlio di Guglielmo I e di Margherita di Navarra, Guglielmo II nacque a Palermo nell'anno 1154. Fin dalla prima infanzia diede prova delle sue virtù morali e civili che lo resero ben presto amato e stimato da tutti. Tramandano gli storici che i cortigiani non lo lasciavano mai in pace. C'era chi se lo stringeva al petto, chi lo teneva seduto sulle proprie ginocchia, chi lo prendeva per mano e tutti lo accarezzavano e lo coprivano di baci. Per la sua innata dolcezza e per il suo portamento regale, ben presto attrasse su di sè l'amore e il rispetto di tutti. Ad un'indole così felice non mancò corrispondente educazione.
Ebbe come precettore, che lo educò nei costumi e nelle lettere, l'inglese Gualtiero Offamilio, in quel tempo Arcidiacono della Chiesa di Cefalù, uomo colto e probo che con grande zelo si adoperò per educare non solo Guglielmo ma anche i suoi fratelli. Quando egli aveva raggiunto i dodici anni, il padre Guglielmo I il Malo, sentendosi prossimo alla fine, lo nominò erede del Regno sotto la tutela della madre Margherita e dei consiglieri Riccardo Palmieri, allora Vescovo di Siracusa, Matteo Ayello, Notaio, e Petro Gaito.
Morto Guglielmo I nel mese di maggio dell'anno 1166, Margherita, temendo che l'odio che il popolo nutriva nei confronti del marito venisse scaricato sul giovane Guglielmo, nascose per qualche tempo la morte del Re. Ma passati alcuni giorni chiamò a corte i consiglieri e assieme ad essi decise di pubblicare la fine del Sovrano inviso al popolo e contemporaneamente di far acclamare nuovo Re il figlio.
Ben presto il timore della Regina scomparve, perchè il popolo siciliano, sempre fedele, subito perdonò il malgoverno del Re defunto e con grande festa acclamò il successore.
Per tre giorni continui si svolsero i solenni funerali in onore del trapassato monarca, tutti i cittadini si vestirono di nero, le donne e le nobili matrone, avvolte in lugubri mantelle, percorrevano le strade della città piangendo e lamentandosi. Passati i giorni stabiliti per le reali esequie, il Re fu sepolto nella Cappella reale.
Passarono alcuni mesi e il nostro Guglielmo, con grandissima acclamazione dei Vescovi e con l'approvazione universale del popolo, secondo l'usanza, così come i suoi predecessori, fu incoronato nella Cattedrale di Palermo da Romualdo Guarna, Arcivescovo di Salerno. Presa la corona il giovane Re, attraversò le principali strade di Palermo, con il suo cavallo, con solenne pompa e tra due ali di popolo festante. Proprio in quel giorno, si dice, la sua bellezza fisica, nonchè la sua prestanza e il suo portamento reale fecero dimenticare a tutto il popolo l'odio e i rancori nutriti nei confronti del padre e fu ritirato ogni pregiudizio nei riguardi del giovane Re. Ognuno ripose nel giovane sovrano la speranza di un nuovo periodo di pace e serenità.

Ciò che tutti avevano previsto, ben presto, si avverò, perchè con l'ascesa al trono non scemò affatto in Guglielmo la sua natìa benignità. Aumentò in lui la facoltà di concedere la libertà e ben presto fu munifico verso la Chiesa.
La Regina, da parte sua, assecondò il volere del figlio: tutti i prigionieri furono subito liberati e assolti dalle loro pene; gli esiliati e i proscritti del re defunto furono ridonati alla loro patria e ad essi furono riconsegnati i loro beni. Furono richiamati il Conte di Acerra e il conte Ruggero di Avellino, parente del Re e fu richiamato in Sicilia dalla Grecia Ruggero, Duca di Puglia. La città e i castelli sottomessi presto furono liberati e così il popolo, alleviato dalle imposizioni e dai soprusi finora patiti, vide in Guglielmo II il vero liberatore di antiche soverchierie. I feudi confiscati furono restituiti ai propri padroni, fu raddoppiata la paga alle truppe. In poco tempo le cose mutarono in meglio e la Sicilia subito apparve di aspetto diversa e ben presto fu dimenticato il malgoverno del predecessore. 
Guglielmo II, al fine di rendere il suo Regno propizio al Signore, non indugiò  a significare la propria religione inviando degli ambasciatori al Sommo Pontefice, Alessandro III. I legati, secondo l'usanza del tempo, prestarono al Papa il giuramento di fedeltà e di omaggio.
Il Re pio rese ancor più felici i sudditi mettendo la Città di Palermo e tutto il Regno sotto la protezione della santa vergine Rosalia.

Guglielmo II poteva benissimo godere della tranquillità del Suo Regno, ma poichè la pace non è di questo mondo, anche i primi anni del suo governo furono disturbati da guerre. La sua magnanimità lo portò ad aiutare nel 1167 il papa Alessandro III, (il senese Rolando Bandinelli) in quel tempo in lotta con Federico Barbarossa, duca di Svevia. Questi volle attuare in Italia un programma di restaurazione imperiale in quanto rivendicava i suoi diritti di sovranità, ma i Comuni non intendevano rinunziare ai vantaggi già conseguiti e opponevano al sovrano i diritti emergenti da una profonda trasformazione sociale.
Federico I con lo scopo di far conoscere ai Comuni le sue intenzioni e di cingere in Italia le due corone quella regia e quella imperiale discese ben sei volte in Italia. La prima avvenne nel 1154 durante la quale Federico I, cinta la corona ferrea nell'aprile del 1155 a Pavia, mosse alla volta di Roma per ricevere dal papa Adriano IV la corona imperiale.
Le trattative per l'incoronazione furono anche una revisione dei rapporti tra i due poteri e lasciarono nel Papa il presentimento del riacutizzarsi della già annosa tensione: Papato-Impero. 
L'idea teocratica non poteva certo conciliarsi con l'idea imperiale di Federico I; perciò c'era da aspettarsi una serrata lotta tra Impero e Comuni ed era prevedibile il rinnovarsi del conflitto tra Papato e Impero. Il che portava ad una naturale alleanza tra i due avversari di Federico, cioè all'incontro tra i Comuni e il Pontefice. Tralasciando qui di trascrivere le diverse discese di Federico I, in quanto l'argomento distoglierebbe il lettore dal tema principale della narrazione della vita di Guglielmo, ci limiteremo a dire che quanto ai rapporti col Papato, Federico I nel 1160, proprio mentre si trovava sotto Crema, aveva riconosciuto come pontefice il competitore di Alessandro III, cioè Ottaviano di Tuscolo, che fu antipapa col nome di Vittore IV e che, morto nel 1164, ebbe come successore Guido di Crema col nome di Pasquale III. Appunto per sostenere quest'ultimo contro il Papa legittimo, che nel frattempo era tornato a Roma con grandi accoglienze, Federico fece la quarta discesa. Fu proprio in tale occasione che Guglielmo II, per significare la sua fedeltà al legittimo papa Alessandro III, gli inviò in soccorso delle truppe. Durante detta spedizione, i siciliani dapprima assalirono il castello del Conte di Bassavilla che era partigiano dell'Imperatore e un altro castello dove si trovava una buona guarnigione tedesca.
Le truppe di Guglielmo, però, essendo di numero molto inferiore a quelle tedesche furono ben presto costrette ad abbandonare l'assedio e a darsi alla fuga. Molti uomini furono fatti prigionieri e Federico, recuperato il castello del Conte di Bassavilla, occupò Roma e ridusse alle strette il Papa. Sentito ciò il nostro Sovrano normanno per dare ancora una volta al Pontefice prova di fedeltà, gli inviò due ben armate galee e una grande quantità di denaro a sostegno delle spese di guerra. Alessandro III accettò con animo grato il denaro, ma rimandò le navi in Sicilia con Giovanni Cardinale di Napoli e Ubaldo Cardinale di Ostia affinchè questi concertassero con Guglielmo il modo per sostenere la sua dignità contro Federico. Inoltre il Papa distribuì parte del denaro inviatogli ai Signori romani suoi fedeli e travestito assieme a tanti altri Cardinali, di notte, abbandonò Roma e riparò a Benevento, dove i cittadini lo accolsero con grande onorificienza.

Mentre Guglielmo II cercava di adoperarsi per aiutare il Sommo Pontefice, nella sua Reggia, i cortigiani e i diffamatori facevano a gara per tramandare sommosse e congiure. Coloro i quali durante la reggenza di Margherita di Navarra, avevano avuto il comando, facevano del tutto per mantenere il potere per governare a proprio piacimento. Autore e capo di tali sommosse era Gentile, Vescovo di Agrigento, il quale ben presto si alleò con gli arcivescovi Romualdo di salerno, Ruggero di Reggio e Tristano, Vescovo di Mazara.
Questi Prelati, come era consuetudine a quei tempi, ultimati i loro doveri religiosi si intrattenevano nella Reggia, si mettevano al servizio dei Principi e si occupavano delle cose di corte.
...
Guglielmo II, nonostante vivesse in una corte così corrotta, cresceva felicemente in virtù morali. Nè le turbolenze che avevano messo la sua Corte sottosopra furono di ostacolo alla attenta cura della sua educazione. Offamilio, che lo aveva istruito nella prima fanciullezza nelle umane lettere, ben presto lo fece dotto  anche nelle scienze. La Regina diede incarico a Rotorodo, Arcivescovo di Roano, suo zio, di rintracciare qualcuno in Francia, nazione madre feconda e nutrice di uomini di cristiana pietà, che potesse istruire, come degnamente si conveniva ad un Principe, il giovane Guglielmo. L'Arcivescovo di Roano, scelse un certo Pietro, nativo di Blois, città della Francia, e perciò detto Blesese. Pietro, canonico di Chartres, era coltissimo nelle umane lettere ed espertissimo nel diritto canonico. Uomo dotatodi forte memoria ed eruditissimo nelle sacre scritture, non esitò a lasciare la sua patria e a partire alla volta della Sicilia per educare il giovinetto già in chiara fama presso gli stranieri. Guglielmo aveva compiuto quattordici anni, ma ancora era molto giovane per occuparsi dell'Amministrazione del Regno e così l'Eletto di Siracusa e Matteo Notaro benchè avessero la carica di Cancelliere e il governo del Regno, essendo uomini ambiziosi, aspiravano a ben altre mete. Uno infatti ambiva alla carica di Arcivescovo di Palermo, l'altro appena capì di aver perduta ogni speranza di diventare Ammiraglio, anelava ad esser nominato Gran Cancelliere. La Regina margherita accortasi del pericolo che incombeva sulla corte, volle provvedere alla tranquillità del Regno e, tramite una lettera segreta, chiese all'Arcivescovo di Roano che le mandasse in aiuto qualcuno dei suoi parenti di Francia, Roberto Nymburgese o Stefano, figli del Conte Percese, affinchè uno dei due potesse sedare eventuali sommosse.
L'Arcivescovo di Roano a Roberto antepose Stefano, come giovane di bell'aspetto, di animo buono e d'alto ingegno. Per assecondare il volere della Regina, Stefano partì dalla Francia verso la Sicilia accompagnato da trentasei persone. la Regina, al suo arrivo, volle che gli andassero incontro a riceverlo i Vescovi, i Capitani e i soldati per accompagnarlo alla Reggia. Qui fu accolto con tutti gli onori e Margherita senza indugio, davanti a tutti, lo nominò Gran Cancelliere e comandò a tutti che prestassero obbedienza.
Stefano subito capì l'indole delle persone con cui aveva a che fare, l'incostanza della Regina e le trappole dei cortigiani e già pensava di far ritorno in Francia. la Regina però lo supplicò di rimanere ed egli a malincuore prese le redini del governo. intanto a corte Pietro Blesese che come si è anzidetto, era venuto per educare ed istruire il giovane Guglielmo, ben presto si attirò la stima della Regina e del giovane Re. Da parte sua il Blesese era felice di avere un così intelligente discepolo perchè Guglielmo era di docile indole, buono, educato e diligente. A loro volta, sia Margherita che Guglielmo, lo presero così a cuore che ben presto, non solo lo aggregarono al regale Consiglio, ma addirittura gli facevano scrivere le lettere in nome del Re. Subito i cortigiani incominciarono ad invidiarlo e cercarono di allontanarlo dalla Corte con il pretesto di farlo eleggere Arcivescovo di Napoli. Il Blesese rifiutò tale dignità che fu conferita poi ad un certo Sergio, cittadino di quella città, che si era molto adoperato, e ciò era a tutti noto, per opere svolte in favore della Chiesa. Intanto il giovane Guglielmo si impegnava con tanta diligenza nello studio della Religione e delle lettere e praticava, come si conveniva ad ogni principe in quel tempo, lo sport della caccia. Non mancavano certo nelle vicinanze di Palermo luoghi idonei a praticare tale esercizio e soprattutto ve ne era uno, assai dilettevole, fornito di ogni tipo di alberi, nel quale facilmente si potevano rinvenire conigli, caprioli e cinghiali, Nel mezzo di sì bel bosco esisteva una splendida villa e una freschissima sorgente. Detto luogo di caccia era comunemente indicato Parco Vecchio ed era nato per volere del vecchio Re Ruggero.
In seguito il luogo dove scorreva la sorgente fu chiamato Altofonte. Qui la corte reale veniva spesso ad esercitare la caccia, ma il luogo che il giovane Guglielmo amava di più frequentare era una villa distante dalla Reggia, ad occidente, non più di quattro miglia. Detta villa era situata su di una collina la quale anche se adiacente ad un monte aspro, l'attuale monte Caputo, aveva una lussureggiante vegetazione. Nell'ameno luogo si trovavano piante di ogni genere, frondosi carrubbi e meravigliosi giardini. Da qui si poteva godere del bellissimo panorama sottostante: quello della famosa Conca d'Oro, ricoperta di ubertosi giardinidi aranci e di limoni. Questo posto incantevole, anche per la salubrità dell'aria, era la meta gradita dei sovrani normanni ed in particolar modo di Guglielmo. Per tale motivo spesso il popolo indicò quel luogo con il nome di Monte regale che in seguito diventò Monreale.
Ma mentre il nostro giovane sovrano era intento ai suoi studi, a corte non mancavano dissapori e intrighi di ogni genere. La Regina infatti per trattenere Stefano in Sicilia fece in modo da farlo nominare dai canonici della Chiesa di palermo Arcivescovo della Città.
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Il tempo così passava tra un avvenimento e l'altro. uglielmo era già arrivato all'età di diciassette anni. Era l'anno 1171 quando Pietro Blesese, il maestro che aveva istruito nelle umane lettere il giovane Re, uscito da una convalescenza, decise di lasciare l'Isola perchè tanto odio e tanto orrore aveva della Sicilia per gli avvenimenti di Stefano Perticese. 
...
Era già l'anno 1172 e il giovane Re, uscito dalla tutela della madre, incominciò a governare da solo. Le lettere e i diplomi reali che fino ad ora avevano portato i nomi di guglielmo e di Margherita, cominciarono ad avere un nome solo: quello di Guglielmo.
Rimossa così la Regina dalla tutela del figlio e dall'Amministrazione del regno, l'arcivescovo Gualtiero Offamilio si arrogò tanto potere e fece crescere tanto la sua autorità che agli occhi di tutti sembrò lui essere il Re.
...Il tempo intanto passava e si approssimava per il giovane Re l'età del matrimonio. Il parentado cercava tra i principali sovrani del mondo una principessa degna di un così bel giovane che già aveva compiuto diciannove anni. Di comune accordo si era orientati a dare in sposa al giovane sovrano la figlia dell'Imperatore della Grecia. Lo stesso Guglielmo inviò a Costantinopoli Bartolomeo Offamilio ed altri ambasciatori per concordare le nozze. Comneno promise con giuramento sopra la sua fede che avrebbe dato in sposa la propri figlia al Sovrano normanno e questi da parte sua giurò che l'avrebbe ricevuto per consorte. arrivato il tempo stabilito, Guglielmo II insieme ad Enrico suo fratello, Principe di Capua, all'Arcivescovo Gualtiero Offamilio e Matteo Notaro, partì alla volta di Taranto, dove si era convenuto che la sposa sarebbe arrivata. Qui tutti aspettarono per una intera giornata pensando che la nave portasse ritardo, ma poichè la sposa no arrivava si intuì subito che il Comneno aveva cambiato parere. Nessuno riuscì a capire il motivo della decisione dell'imperatore di Costantinopoli. Si pensò che il Comneno non avesse dato in moglie la propria figlia a Guglielmo per motivi di religione essendo differente il rito cristiano da quello ortodosso. Ci fu chi invece attribuì il ripensamento al motivo che l'imperatore greco in quel tempo conduceva una infelice lotta contro i turchi e ne aveva subìto una dura sconfitta.
Dopa avere aspettato invano, Guglielmo con i suoi decise di ritornare in Sicilia. Durante il viaggio di ritorno, nei pressi di Benevento, il fratello del giovane Re, Enrico appena tredicenne, si ammalò. Guglielmo pensò di farlo arrivare al più presto possibile in Sicilia pensando che l'aria natìa potesse ristabilirlo, ma le condizioni di Enrico andavano peggiorando ogni giorno di più, finchè morì a Salerno il giorno 19 giugno del 1173.
...
Intanto il tempo passava e al nostro Guglielmo non mancò certo di doversi occupare sia delle cose del suo Regno che di venire in aiuto ora di questo ora di quel Sovrano di Stati diversi.
...Preso dal fascino delle maestose costruzioni dell'avo Ruggero, quali la Cappella palatina ed il Duomo di Cefalù volle emularne la gloria e così continuò i lavori lasciati incompleti dal nonno e dal padre nel Palazzo Reale di Palermo.
...ma come si è detto, predilegeva Monreale. 





CERMONIA DI PREMIAZIONE D'ARTE



CERIMONIA DI ASSEGNAZIONE  
DEI 
TITOLI ACCADEMICI 
DELLE
 AVANGUARDIE ARTISTICHE 
ANNO 2012






L'Amministrazione Comunale ospita la Cerimonia Artistica dell'Accademia, nei locali dell'ex Refettorio oggi Aula Consiliare - presso l'ex Monastero dei Benedettini. 


Da sinistra, S. A. Sandro Pulin - l'Assessore alla Cultura Lia Giangreco - il Sindaco Avv. Filippo Di Matteo - Prof. Francesca Biondolillo - l'Editore Sig. Sandro Serradifalco




GIOVANNI LETO



GIOVANNI LETO, Artista monrealese


All'indomani della II^ Guerra Mondiale, pittori, filosofi, poeti, letterati iniziano già ad offrire il ritratto dell'uomo contemporaneo. 
Il rifiuto della rappresentazione naturalistica accomuna quanti scelsero la libera interpretazione dell'apparenza, obbedendo alla volontà di far conoscere le proprie emozioni, i tanti perchè, al di là della loro esistenza fisica.
La Sicilia partecipa attivamente agli interscambi filosofici ed estetici e ciò, fa sì che artisti siciliani mostrino molta attenzione sui molteplici aspetti dell'arte che è universale.




... La mia "anima", all'età di dieci anni circa, è segnata da una foto voluta da mia madre che mi ritrae in calzoni corti e bretelle a bordo di una Vespa, che non mi appartiene, e fingere di guidarla.
E' una foto che nell'immaginario di mia madre doveva servire a nascondere la realtà di stenti che la mia famiglia viveva ed è proprio nel posare per questa che passo da un'età candida e spensierata ad una condizione in cui, anch'io come mia madre, avverto un senso di vergogna della povertà, e in più, un senso di pudore, quasi una colpa, per la passione che ho per la pittura, una passione sempre più costosa.
Sono sentimenti iniziali che mi fanno sentire gli ori musivi tardo-bizantini dell'imponente Duomo di Monreale, a ridosso del quale sono nato (nel quartiere Ciambra), come eccessiva, impietosa, ostentazione di sfarzo, posto lì a sottolineare, per contrasto, la miseria circostante.
accanto a questo sentire, fondamentale è, nella mia infanzia, l'anima che ho ricevuto da mio padre: uno "compagno" che poneva innanzi tutto il Partito, ovvero il bene comune anche quando questo era, sempre più spesso, a scapito del bene della famiglia.
Nei momenti in cui mia madre si lamentava per la vita di stenti che era costretta a vivere a causa delle sue idee, lui coglieva l'occasione per insegnarmi che, per difendere i valori in cui uno crede, diventa necessario, qualche volta, fare delle rinunce.
...La storia dell'Unità a casa mia è lunga:
una volta letto, era ripiegato in quattro ed usato a mò di paletta per ammazzare mosche e fastidiose zanzare; mia madre poi, il cui odio crescente per quel giornale era infinito, quando non lo gettava direttamente nell'immondizia, ne riduceva, spesso rabbiosamente, i fogli in torce (quasi come oggi faccio io)per accendere i fornelli: Per me che con quel giornale ero stato allevato, diveniva invece, dagli anni Sessanta, lo strumento che, con i suoi contenuti, mi permetteva di tramutare il mio senso di vergogna della povertà in passione per le lotte civili, e poi, dall'ottantacinque, materiale quasi esclusivo con cui realizzare le mie opere...i fogli di giornale selezionati per tipi di carattere tipografico che vi sono impressi, per tipo d'immagini, di colore e digrana, sono proprio i miei umori tattili oltre che visivi a guidarmi.
Inizio attorcigliando uno per volta i fogli di giornale, riducendo in pieghe le notizie e i caratteri di scrittura che questi contengono, sino a caricarli di altri significati. Poi li dispongo sulla superficie dell'opera, stretti tra loro per lo più orizzontalmente, a formare quasi una muraglia e/o, assecondando le forme che pian piano scaturiscono dai loro accostamenti. La manualità connessa a queste operazioni mi conduce oltre lo "specchio di Narciso", a sentire anche fisicamente la materia. la fase successiva consiste nel lacerare, strappare, rendere penzolanti qui e là, quei cordoni di carta ravvolti che, nel loro insieme, mi appaiono ancora rigidi o poco manipolati e sofferti. E' un lavoro che coinvolge quasi tutti i sensi, a tratti lucido, misurato, "da vero architetto di discariche", a tratti istintivo.
In alcuni momenti mi ritrovo ad avere in mano più cordoni di carta, pronti come frecce di Cupido ad essere incollati simultaneamente sulla superficie, o come astrali della mitologia, diretti a squarciare il cielo. Più cresce l'opera e più i gesti diventano rapidi, convulsi, indirizzati a ricavare sentieri che s'inerpicano, scrimoli, orli penzolanti. Non si tratta di un procederre per accumulo (l'accumulo sa di operazione disordinata e distratta), semmai d'accostamenti suggeriti, dalla "logica del cuore".
Appena l'ultimo cartoccio e gli altri materiali trovano posto e la materia nel suo insieme si presenta corposa, eppure silenziosa, svuotata quasi dei suoi significati iniziali, immersa in una luce "atea", come alla fonte d'ogni possibile citazione, è il segnale che l'opera è conclusa.


(da un'intervista di Anna D'Elia)




GEOLOGIA DELL'ALTROVE di Liana Masi

Del pittore Giovanni Leto si è già parlato altrove e tanto ed è chiaro che l'articolo non intende sostituirsi a quelli di chi, con ben più grande competenza ed esperienza hanno guardato all'artista monrealese, collocandolo in quell'area che dalle esperienze di assemlaggioo materico si snoda fin da Picasso, ma vuole rappresentare soltanto una tappa, un momento di conoscenza, di approfondimento di un uomo che è nato a Monreale, che ha vissuto nel quartiere della Ciambra, e che ha imparato a vivere dove fiorivano i muri sgretolati, le pietre corrose dal tempo, le tessere d'oro - confusione di razze, stratificazioni di stili - e per cui le prime immagini sono state le stesse di quei ragazzi o di quegli adulti che un giorno furono ragazzi, ai quali è rivolto quest'itinerario.
Immagini assunte coscientemente o spesso relegate nella mente, ma che ritornano improvvise ad un barbaglio di sole e che compongono la struttura della mente: una strada in salita, un campanile scoperchiato, un fabbro che fa risuonare il suo martello, e poi non vista, non sentita, non coscienza, la realtà più cruda, miseria soffocata... non... un grido... l'aria non filtra... i dati si accartocciano... carta, notizie, clamore senza rumore, impegno, un nome di coloro che lottano, che hanno lottato, come può, come sa: Giovanni Leto. 
La presa di coscienza, la ribellione, la cogli là senza neanche soffermarti a pensare, tanto è evidente, nel colore che non è più colore puro, nella tela che è soltanto la base per una stratificazione ossessiva di carta, di notizie  di crepe che fanno assumere la dimensione senza spazio, senza tempo, della crosta terrestre di una "Geologia dell'altrove" come suggerisce, sottintende il titolo della mostra del catalogo curato da Giorgio Di Genova.
La carta diviene il segno, assume la stessa valenza emblematica della pagina bianca, si dispiega in tutte le sue possibili realtà, si ammassa, si confonde, si sfalda, innalza muri, impedisce al colore di stendersi senza contrasti sulla tela, corrode lo strato dopo averlo formato. Diventa tensione, è ricerca, è ripetitività monocorde, ricorrente, ossessiva che ricopre fino a sommergere, è l'ganno del messaggio, che ti promette Orizzonti, [...Orizzonti nero ... orizzonte...] evasioni e che poi beffardamente, drammaticamente ti offre solo una striscia minima, perchè il resto è oppressioen, è terra, è fango pietrificato, è desrto, ma solo nel senso della solitudine. Carta, stracci, materiali primitivi trattati istintivamente, manipolati perchè c'è un momento in cui si sente il bisogno d'immergere la mano nei colori e il pennello diventa un limite, la tela stessa è un limite perchè t'impedisce di uscir fuori di essa, senti il bisogno di renderla materia, cerchi nuovi mezzi espressivi perchè tutto oppone resistenza, e ogni tela non è altro che il tewntativo di esprimere quell'angoscia inesprimibile che ti soffoca e riprovi. Ricercare punti di riferimento(insistente il riferimento a Burri) è un'operazione fallita in partenza. 
"L'arte vive in contrasto con le Muse" vive negli artisti con la sua primordialità smemorat, lascia segni che non sono più riconducibili alla loro matrice e così ogni artista è contemporaneamente tutto ciò che è stato prima di lui e tutto ciò che il futuro sarà prima che il pennello suo o di un altro si materializzi sulla tela. 
Raccontare Leto, far rivivere un percorso pittorico - non immediatamente fruibile - rievocare con le parole i segni di un percorso comunicativo che ha il fascino di aver annullato l'immagine, il disegno, il colore è un oximoron perchè la parola è mistificatrice è ingannevole, ma è l'unico strumento che abbiamo "Non chiederci la parola che mondi possa aprirti".  ...

Dagli anni di formazione al Collagismo planare
















Da Elementi in superficie a Corda


METAMORFOSI DELLA SCRITTURA
I Deserti di carta di Giovanni Leto
di Maria Antonietta Spadaro

Ritroviamo ancora nelle opere di un altro monrealese, Giovanni Leto, la carta stampata, il giornale. Ma se Guardì tende ad impreziosire tale materia prima, Leto ce la restituisce ormai diventata rifiuto in stratificazioni materiche di grande effetto. Il quadro non è più superficie bidimensionale, tende ad ispessirsi per diventare contenitore ideale di rifiuti di carte, stoffe, plastiche, oggetti inservibili (operazione inversa rispetto allo spazialismo di L. Fontana). Tutto ciò compresso con un tempo o ritmo di sedimentazione stratigrafica  costante. La tela non è tuttavia interamente "riempita" poichè rimane in alto uno spazio vuoto (colorato in bianco o nero). Ciò, rispettando l'ordine della comune accumulazione di materiali, rende il senso dell'inarrestabile processo di crescita dei rifiuti. Queste composizioni polimateriche, che tuttavia perdono alla fine ogni riferimento con la sostanza dei materiali utilizzati, sono state definite "paesaggi dell'assenza in un pianeta  sempre più avviato a divenire una gigantesca pattumiera" (G. di Genova), e poi ancora "le terre di nessuno" (M. Venturoli). Sono orizzonti sconfinati di un nulla che nasce come risultato del troppo. Anche qui possiamo trovare un giudizio sul destino del messaggio stampato e freneticamente consumato.
I giornali accartocciati e incollati ingialliranno ineorabilmente e ciò regalerà una patina realistica a quella sofferta ed agonizzante macerazione. Spietato messaggio esistenziale? Forse.
Il riscatto è l'immagine: la spazialità rivissuta attraverso la materia povera e opaca, a tratti resa vibrante da accenni o presenze cromatiche.
Le composizioni di Leto possono leggersi indifferentemente come distese desertiche di un'era seguente a quella del mito del consumo rapido dell'oggetto e della notizia, ovvero come sezioni di viscere di un organismo vivente mostruoso e terrestre.
Così come i sacchi o la plastica bruciata di Burri riescono a trasfigurarsi in carni lacerate, in febbrile sofferenza, la materia-carta usata da Leto diventa assolato paesaggio o riflesso dell'angosciante condizione dell'uomo.
Se Sartre ha messo a nudo (compiendo una delle operazioni culturali più significative della nostra epoca) la coscienza umana svelandone anche le miserie e partecipando quindi come artista alla " tragedia del proprio tempo", Leto con le sue opere, come Sartre, crede che la nausea, l'angoscia siano le sole in grado di provocare la crisi, quella crisi che permette all'uomo di riscattare la propria libertà.
(M. A. Spadaro)




Orizzonti e dintorni



















Il corpo a corpo con lo spazio della pittura reificata




Installazioni




(Alcune delle )Opere recenti




www.giovannileto.it


R.M.