L'ABBAZIA DEI CENTO MONACI - ARTICOLO DI NATALE SABELLA




"L’ABBAZIA DEI CENTO MONACI" 

di Natale Sabella


Documento pubblicato (*) in concomitanza dell’apposizione della targa a ricordo dell’inserimento del DUOMO di MONREALE,  nell’itinerario arabo – normanno, dichiarato  dall’UNESCO, patrimonio dell’umanità.

          Poco è dato sapere riguardo ai monaci venuti a popolare l’abbazia di Monreale, se non, che l’abate Benincasa di Trinità di Cava nell’anno 1174, si era premurato di inviare due monaci al monastero di Monreale per far sì che il  monastero fosse dotato delle cose necessarie e che trascorsi due anni, Guglielmo II re di Sicilia chiedesse all’abate Benincasa di Trinità di Cava, di inviare a Monreale, un ulteriore congruo numero di monaci.
          Sappiamo inoltre che cento monaci, con a capo l’abate Teobaldo, insieme ai ministri del re, partiti dall’abbazia di Cava si imbarcano a bordo della triremi reale ed approdano in Sicilia il 20 marzo dell’anno 1176, vigilia della festività di San Benedetto, accolti con tutti gli onori da re Guglielmo che consegnò loro il monastero.
          <<Cento, numero, perfetto, il quadrato di 10, ritenuto “magico, divino”, dalle religioni e dai Pitagorici>>. Cento monaci, nè più, nè meno, provenienti dall’abbazia di Santa Trinità di Cava, in Campania osservanti la Regola Benedettina, Cluniacense, scelti personalmente, dall’abate Benincasa, per doti e capacità, che prendono possesso di un monastero ancora probabilmente in fase di completamento, che da lì, a qualche anno sarà considerato il maggiore centro religioso della Sicilia.
          Un monastero, in un certo senso, all’”avanguardia”, orgoglio, e vanto della Chiesa di Roma, e della monarchia Normanna,  che, vedrà nella sua conduzione, (dal 1176 al 1230) tre monaci, del Sacro Ordine Benedettino  Cavense. Teobaldo, il primo, abate -  vescovo, “noto, in vita per la sua fama di santità”, (1176 – 1178), Guglielmo, abate, consacrato arcivescovo per mano di Alessandro III, Papa , (1182 – 1188), e Caro, suo successore, arcivescovo di Monreale (1194 e il 1230 ?).
          Per Guglielmo, aver portato a “compimento” un’opera così importante assunse un valore, un significato di non facile comprensione per l'uomo moderno, anni luce
distante dal modo di pensare, di quel tempo, da quel sentimento religioso “astratto”, difficile da essere compreso ed interpretato, poiché a prevalere era l’invisibile sul visibile, il sogno sulla realtà.
          In Guglielmo, il sogno è mezzo, tramite, tra il mondo divino e la realtà umana, motivo che lo ha indotto a compiere un’azione di mediazione in cui egli stesso è  esecutore “materiale” del messaggio celeste, manifestato dall’Onnipotente all’umanità, tramite il figlio dell’Uomo, Gesù Cristo, il Salvatore, inviato sulla terra a redimere l’uomo dal peccato.
          In verità, Guglielmo, non fa altro che rendere “visibile”, un “mondo”, misterioso, al quale intende dare forma e, consistenza. L’intento, glorificare Dio, sostenere, la fede in Cristo, avvicinare, l’uomo, a conoscere, e vedere, il Volto umano del Padre, attraverso l’immagine di Cristo (vero Dio e Vero uomo), il Pantocratore.
          Motivo che porta Gugliemo a realizzare un progetto straordinario e speciale: la monumentale Ecclesia di Monreale, un gigante di pietra, maestoso, imponente, solenne, nel quale perpetuare il culto divino eucaristico, (simbolo, della fede cristiana). Un progetto che fa riferimento a sincretismi stilistici, di matrice culturale diversa di derivazione Romanica, Bizantina, Islamica, chiamati ad interpretare in chiave, “rinnovata” il culto cristiano Cattolico nel segno della tradizione liturgica Bizantina.
         Una chiesa in cui lo spazio è pensato, come sequenza, d’immagini ordinate, (ricchezza spirituale, culturale, storica) narranti episodi Biblici, leggende sacre e profane. Un raccontare, attraverso il linguaggio dell’arte musiva, la tradizione dei Padri della Chiesa, la cultura Sinodale, mostrare Gesù di Nazareth, bambino, giovane, uomo adulto. Spazio ove la parola tace, cede al silenzio, e si affida all’immagine. Capolavoro musivo, scultoreo e architettonico, unico e straordinario, di una perfezione, e una compiutezza mai vista prima.
          Compendi, “fotogrammi” di pietra viva dai sfavillanti colori, che narrano la storia della Chiesa, dalle origini al tempo di edificazione della cattedrale. Quadri, da considerare autentiche “sceneggiature” musive, con viste interne ed all’aperto, paesaggi, “terrestri, marini”, alberi, palme stilizzate, animali, avvolti da ornati geometrici, e rappresentazioni floreali.
          Un luogo ove ogni cosa, risponde ad un preciso significato fa rifermento a tradizioni religiose, e culturali, ebraiche, e cristiane, il cui filo conduttore, è il trionfo dell’immagine, dell’iconografia sacra, che insieme alla parola scritta, giungono a scaldare, l’animo umano, con il  dono della fede.
          Una moltitudine di figure in mosaico dal contenuto simbolico su fondo d’oro ricoprono le pareti della Basilica, col manto generoso dei mosaici colorati. Episodi biblici, invitati a proclamare Parole di Verità, diffondere Amore, rendere misericordia, infondere saggezza, trasmettere fede, speranza e concedere misericordia.
          Un corpus straordinario di figure composte, solenni, di scenari terreni “paradisiaci” di una bellezza tale da togliere il fiato, animare il respiro, imprimere nella memoria, nel ricordo, il messaggio salvifico, di Gesù di Nazareth.
          Non è un caso, se Guglielmo, ricorre a modelli e sistemi spaziali gerarchizzati  “classici”, pone, uno accanto all’altra la pianta a croce greca e la pianta basilicale a croce latina, accostamento ideale e perfetto, considerato il risultato raggiunto.
          E’ nel modulo che si ripete il “miracolo”, compiuto che genera proporzione,  misura, dispone geometrie, attribuisce allo spazio maggiore tridimensionalità, diffonde armonia, aggiunge bellezza,a bellezza.
          Il risultato, felice combinazione tra area sacra del Santuario, spazio della liturgia, delle sacre cerimonie, dell’adorazione, della divinità Sacramentale e il corpo di Cristo. “Cielo, e Terra”, insieme e lo spazio “laico - profano”, l’aula della basilica,  luogo dell’assemblea e raduno del Popolo di Dio.
          Chiesa, irripetibile, fortezza munita con annesso un monastero Benedettino, complesso fortificato, frutto di egemonie culturali – storico, artistiche di tradizione islamica, bizantina, romano antica. Centro del potere politico con funzione religiosa, con finalità ed esigenze feudali.
Imponente opera da gestire e governare nella sua interezza, motivo che porta re Gugliemo II a popolare l’abbazia, con i monaci benedettini di Santa Trinità di Cava e non con monaci appartenenti ad altri ordini religiosi.
           Questa in sintesi la chiave di lettura, che ci fa comprendere, il motivo che induce Guglielmo, a realizzare un complesso chiesastico,  importante ed autorevole come quello di Monreale.  Luogo “sacro, simbolico”, regale e prezioso “contenitore”  che accoglie dentro di sé l’universo, “divino” e il mondo umano.
          Un complesso edilizio religioso, funzionale e “moderno” al quale conferire  piena, autonomia, importante e fondamentale per la gestione ed il governo di un territorio vasto, abitato da genti in prevalenza di fede islamica, di religione mussulmana, portatrice di culture e valori islamici, un progetto attuabile solo attraverso la presenza autorevole della Chiesa cristiana latina d’Occidente.
           Un modo per attuare la “Re conquista”, di una realtà, feudale, instabile e controversa, difficile da gestire, e governare. Uno dei motivi che porterà Guglielmo ad affidare il complesso abbaziale ai monaci di Cava, sotto la Regola di San Benedetto e le “costituzioni” di Cluny, fedeli custodi della Fede cristiana, portatori di un bagaglio religioso e spirituale, detentori del “sapere, della conoscenza”, provati maestri nel gestire in autonoma patrimoni fondiari vasti e complessi.
           Monaci Benedettini, impegnati a lavorare in condizioni non facili. Per l’abate, di Monreale signore, principe feudale, delle terre dell’abbazia di Monreale, arcivescovo, dal 1182 (bolla di Lucio III), un compito arduo,  che lo vedrà impegnato a vigilare e controllare le proprietà feudale, le attività agricole, e silvo – pastorali, a  far valere la legge e i diritti feudali, ad attuare un equilibrio sociale “tollerabile”.
           Se si tralascia da parte quanto riportato dalle cronache, è la Storia a venirci  incontro e a farci comprendere anche qualcosa di più.  Ed allora, è il caso di mettere in evidenza i primati posti in capo, alla Comunità di SS. Trinità della Cava.
Prima fra tutti, che la comunità Cavense è parte di una prestigiosa, consolidata, e affermata “Congregazione”, che sovrintende ad un gran numero di chiese, priorati, badie e monasteri, (centinaia e centinaia), parte di una rete capillare estesa che controlla buona parte delle regioni della Bassa Italia, su cui esercita, il dominio diretto.
          Un Ordine, “riformista”, impegnato, nella mediazione politica e nell’arte della diplomazia, attento ad esercitare la giustizia sociale, diffondere la Pace, compiere azioni a vantaggio della popolazioni locale e del ceto nobiliare, (baroni, Normanni, Longobardi), con profonde conoscenze nel campo agrario, botanico, economico e  commerciale, che sebbene svolge la sua attività “missionaria” entro le mura del monastero, determina, la sorte ed il destino delle popolazioni.
          Un Ordine monastico, legato ad un luogo speciale, e privilegiato, la sacra basilica di Cava dei Tirreni in Campania, nella quale si sono resi operosi eremiti, e penitenti vissuti in grazia di Dio, Beati, e Santi della Chiesa Cattolica Romana. Monaci benedettini, portati a guardare in faccia la nuda realtà, amare il Prossimo, e avere  grande interesse riguardo il lavoro manuale.
Intellettualmente attivi, dediti alla scrittura, e traduzione di testi, all’arte nelle sue molteplici forme ed espressioni.
          Strutturato gerarchicamente, devoto servitore della Chiesa Cattolica di Roma, dalla quale dipende direttamente, che si avvale talune volte di servitori domestici, di condizione libera o servile.
Operatore di pace impegnato ad agire per conto della Chiesa, di Roma, debole, impreparata, quando è chiamata ad eleggere il Pontefice, succube delle scelte di potentati nobili che, per propria convenienza, fama di potere, sete di rivalsa, si contengono, il potere, al punto tale da condizionare la Chiesa, nell’elezione del Pontefice, attraverso i suoi cadetti.
           Una potente, ricca, comunità monastica che detiene ingenti tesori e ricchezze,  che la Monarchia Normanna ha modo di incrementare, quando se ne presenta l’occasione, con donazioni a favore della Congregazione abbaziale Cavense. Altro dato a favore dell’Ordine Cavense è che esercita il controllo diretto su gran parte delle attività commerciali e produttive.
           Dalla lettura di alcuni documenti storici emerge che la Congregazione curava il commercio ed il trasporto delle merci, sia per  terra, che per mare, ulteriore fonte di entrate che si aggiunge alle ricchezza provenienti dalla gestione dei possedimenti. Il fatto stesso che le navi da trasporto commerciale dipendessero dall’Ordine Cavense conferma e rafforza ancor più, il senso della questione.
         E così,  come avvenne per l’abbazia di Cava, per i monasteri Basiliani, di rito greco – bizantino, Guglielmo, assegna all’abbazia di Monreale, uno seguito l’altro, a sei anni dall’insediamento dei monaci, ulteriori possedimenti che si vanno ad aggiungere ai precedenti, concede ulteriori diritti e privilegi, conferisce patrimoni  immobiliari in diversi luoghi e città del Regno.
          Un accrescere  la ricchezza che ha come conseguenza un aumento del potere e un rafforzare l’abbazia Monrealese, sotto il piano economico, giuridico e politico, sino a che la Chiesa di Monreale sia un “Principato Ecclesiastico”, autonomo e indipendente.
          E sarà forse per questi motivi che Guglielmo II, inizia a sottrarre alle maggiori Chiese, dell’Isola, parte dei beni, ne riduce la giurisdizione, a favore della prediletta, Chiesa di Monreale.
          Il progetto, di Guglielmo, appare chiaro, evidente, logico, sin dal principio. Rendere quanto più stabile un territorio “ricco e produttivo”, non facile da gestire e amministrare. Ricorrendo se necessario anche all’uso della forza.
Un progetto che è possibile attuare, se si provvede a realizzare non tanto un avamposto militare, ma un centro stabile, (per l’appunto una abbazia) dal quale impartire azioni di comando e ai quali far seguire azioni di controllo.
          Motivo che porta Guglielmo a sottomettere le Chiese di Catania prima, (Papa Lucio III) e Siracusa dopo, (Papa Clemente III), alla Chiesa basilica metropolitana di Monreale.
          Fattori tutti favorevoli, ad accrescere, e rendere visibilmente potente, autorevole, finanche “temibile” l’abate - arcivescovo di Monreale, Signore spirituale e temporale, investito del mero e misto imperio, maggiore prerogativa che il sovrano Normanno poteva a quel tempo concedere.
          Un principe – arcivescovo che governa per diritto regale con potere pieno sulle  popolazioni ricadenti i territori di appartenenza dell’arcivescovado di Monreale, un comprensorio di terre, tra valli, monti e colline, animato da corsi d’acqua, alimentato da ricche sorgenti, parte di un entroterra, situato nella Sicilia Occidentale, produttivo, abitato da coloni e villani, disseminato di casali e mulini percorso da tracciati di percorrenza pubblica, attraversato da strade alberate. Un territorio il cui paesaggio è molto diverso da quello attuale, per varietà e tipologie di impianti colturali adottati, dagli Arabi di Sicilia.
          Diverso, nella portata di fiumi e nei corsi d’acqua, nelle quantità di polle  sorgive, ridotte, e impoverite, alcune non più esistenti.
          Una realtà feudale, che Guglielmo scompone, seleziona e divide in Divise, nelle quali il casale  è il luogo dello svolgersi delle attività umane, sociale e di lavoro, “motore dell’economia rurale agricola, delle attività del commercio e delle attività manuali ed “artigianali”. Realtà nella quale il castello, il maniero fanno parte integrante di un sistema difensivo ancora più ampio.
          Luogo nel quale si ritrovano a stanziare mussulmani avversi alla Corona, giunti da altre parti dell’isola, che si sono insediati nelle città di Jato e Entella, centri urbani, attivi al tempo della fondazione della Cattedrale di Monreale.
          Due centri che pur distanti tra loro hanno in comune la presenza di etnie  provenienti originariamente dall’Oriente Islamico, rimasti in contatto con i centri d’Africa e d’Egitto. Entroterra, via di accesso e di collegamento all’Agrigentino, ai porti bagnati del mare d’Africa. Un distretto soggetto a rivolte e guerriglie, focolaio che si riaccende ogni qual volta, sono messi in discussione gli interessi delle comunità che in esso stanziano, soprattutto quando giunge il tempo di rendere i servizi e pagare i tributi al Signore feudale.
          Una sorta di “riserva”, nella quale i mussulmani giunti da rifugiati si sono insediati e hanno fatto sì che questo territorio diventasse produttivo e rigoglioso, un territorio alquanto controverso, al quale mancano riferimenti “Occidentali”, posto  tra la Valle dello Jato, l’Alta Valle del Belice e il Vallo di Mazara.
          Un’area feudale da rimettere in sesto e che ha bisogno quanto prima di essere gestita, governata e mantenuta secondo le regole e il diritto feudale. E allora, chi, se non un’abbazia adeguatamente attrezzata ed organizzata potrà sovrintendere, e porre sotto  controllo, un comprensorio, sconfinato, vasto quale quello Monrealese?
Chi più dei monaci di Cava ha la forza, la determinatezza, le capacità, il carattere di porre in campo azioni indirizzate a trasformare il territorio ed a far convergere i proventi, e gli introiti ricavati all’abbazia di Monreale?
          Chi meglio dei monaci di Cava può provvedere al mantenimento, ai bisogni, alle necessità del monastero, e sostenere la maggiore chiesa dell’isola, la Metropolitana chiesa di Monreale?
          E chi se non i monaci Cluniacensi potrà rendere “migliore” una realtà,  che ha  bisogno di essere quanto prima di essere “Occidentalizzata”?
         Adesso mi si consenta di prendere in prestito la frase dello psicanalista Statunitense, Robert Hopke, “Nulla nasce per caso”, che ci aiuta a comprendere le ragioni che portano Guglielmo II a vedere i monaci di Cava come coloro che più di altri possono guidare l’abbazia di Monreale.
          A tal proposito farò riferimento ad un episodio accaduto nel 1174, pressa poco coincidente con l’arrivo dei due monaci Cavensi a Monreale. Un episodio riportato dalle cronache del tempo che ci consente di capire qualcosa in più, ma non tutto, che sintetizzo nel modo che segue: Guglielmo, soggiornando a Salerno, si ammala, in modo grave, dolori intestinali insopportabili, lo affliggono, (calcoli!!, forse, dissenteria?).
           In quella circostanza riceve, le cure dei monaci dell’abbazia di Santissima Trinità di Cava, sino a che non è guarito, episodio successivo a quando si trovava  nella città di Taranto.
E’ indubbio che le cure premurose che Guglielmo ricevette dai monaci di Cava hanno finito con il determinare, una maggiore attenzione nei confronti dei monaci, ma non al punto tale da far pensare che questo evento sia stata la causa determinante nell’affidare l’abbazia di Monreale ai monaci di Cava.
           Un evento che certamente si poteva concludere in modo tragico con la morte del sovrano, che Guglielmo intese valutare come presagio, segno favorevole, che gli ha consentito di guarire dalla malattia e continuare a regnare, che sembrerebbe incoraggiare Guglielmo a che il monastero e la sua amata Chiesa venisse  affidata ai Benedettini di Cava, come segno di riconoscimento e gratitudine.
          Giunti a questo punto, è il caso di guardare indietro nel tempo in modo da  comprendere l’importanza dei rapporti che i Sovrani e Principi Normanni, avevano intrattenuto con i monaci di Cava, prima ancora di Guglielmo, e come immensa e grande era la devozione, che Principi, Papi e Sovrani riversavano nei confronti del  Sacro luogo, di Cava.
          Un fatto di grande importanza che non va trascurato, punto da cui partire che consente di chiarire meglio le cose e mettere al suo posto il pezzo mancante del nostro puzzle.
         Il legame tra la monarchia Normanna e i monaci di Cava, risale prima dell’intronizzazione di Guglielmo II, a Ruggero II, e prima ancora ai Principi Normanni, che in diverse occasioni hanno mostrato la loro grande benevolenza concedendo all’abbazia, donazioni, privilegi e diritti.
          E questo per il fatto, che l’Ordine monastico Cavese è custode fedele di un luogo da molto tempo ritenuto Sacro e Santo, la Grotta Arsicia, eremo del nobile monaco Alferio Pappacarbone, (divenuto Santo), monaco dell’abbazia di Cluny, che si era trasferito a Cava dei Tirreni, fondatore dell’abbazia di Cava nell’anno, 1011, che aveva avuto in visione la Santissima Trinità sotto le sembianze di Tre raggi luminosi, provenienti da un solo punto della roccia.
          Un episodio che porterà fama, lustro, notorietà al Sacro Luogo ed alla Congregazione Cavese.
          E fu proprio grazie a questi, più che buoni e ottimi rapporti intrattenuti tra la monarchia Normanna e l’Ordine Cavense, che l’abate B. Benincasa, legato al re Guglielmo II, da grande amicizia finì col cedere e provvide ad inviare all’abbazia di Monreale, cento monaci con servitori al seguito (non menzionati nelle cronache ufficiali), che attraversano  il Mare Tirreno, e la vigilia del ventuno marzo del 1174, giungono in Sicilia, in una terra dove non era mai stati.
          Questo è quanto avvenne al’incirca tredici anni prima, la scomparsa improvvisa del cristiano e credente, Guglielmo, II re di Sicilia che Dante annovera fra le cinque anime dei giusti nel Canto XX nel Paradiso della Divina Commedia (cielo di Giove),  e che gli storici finirono con l’appellare con “buono”.
          Sappiamo pure che i contatti e i rapporti tra l’Abbazia di Santa Trinità di Cava ed il monastero Benedettino di Monreale non si interruppero, anzi continuarono. Come sappiamo pure che a seguito dell’inaspettata morte di Guglielmo II, la situazione mutò improvvisamente in negativo.
          Come,del resto, siamo al corrente che le abbazie rimasero legate ad un filo invisibile che le riconduce all’ Abbazia di Cluny, nella regione di Borgogna, al centro della Francia e ad una figura di rilievo, Henri de Blois. E’da Cluny, la strada che conduce alla badia di Cava, che da più di un millennio propaga la luce della Fede di Cristo da quel sacro luogo dal quale un raggio splendente si è spinto sino a raggiungere e ad illuminare un’altra nuova e grande, religiosa e spirituale abbazia, quella di Monreale.
di Natale Sabella – architetto all rights riserved
(*) documento pubblicato in due parti il 13 e 20 Novembre c.a. su Filo diretto Monreale.it, (testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Palermo al n.29 del 30.12.2009). Direttore editoriale: Luigi Gullo – Direttore responsabile Alex Corlazzoli



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